Un bilancio della guerra aeronavale

Le “battaglie dei convogli” sono solo uno degli aspetti dell’intera guerra nel Mediterraneo. Non può essere compresa la portata delle “battaglie dei convogli” senza prendere in considerazione gli altri avvenimenti che contestualmente si erano svolti nell’area e che ne venivano condizionati e le condizionavano.

L’abbandono dell’Africa, il 13 maggio del 1943, aveva posto fine a quello che per 35 mesi era stato l’impegno principale della Regia Marina: sostenere l’esercito combattente in Africa Settentrionale. Gli Alleati ormai minacciavano direttamente la penisola ma la Regia Marina non sembrava poter e voler prendere iniziative, pertanto gli avvenimenti successivi sarebbero stati irrilevanti sotto il profilo aeronavale pur richiedendo ulteriori sacrifici. La guerra aeronavale, anche se formalmente sarebbe durata fino all’8 settembre, era perciò virtualmente conclusa.

Il rifornimento dell’Africa Settentrionale era stato più gravoso di quello del fronte greco-albanese, sia per la maggior vicinanza ai porti della madrepatria, sia perché la componente aerea nemica basata a Malta non poteva operare. Sul totale di 4.385 convogli organizzati nei due sensi durante l’intero conflitto, 3.116 erano stati destinati verso l’Albania, la Grecia e l’Egeo, portando a destinazione tutto o quasi.

L’obiettivo di garantire le proprie linee di rifornimento, impedendo quelle del nemico era stato il motivo dominante della guerra. La Royal Navy infatti si era trovata nell’analoga necessità di sostenere soprattutto il caposaldo maltese, diventato ben presto il cardine del dispositivo per annientare i rifornimenti italiani per l’Africa Settentrionale.

Tutte le azioni aeronavali italiane, tranne che in due circostanze (Capo Spada e Gaudo-Matapan, provocate da due iniziative di attacco alle comunicazioni britanniche tra la Grecia e l’Egitto), erano state la conclusione di iniziative tese ad ostacolare le intermittenti necessità britanniche di rifornire Malta, tuttavia non erano riuscite ad annientare la resistenza dell’isola.

L’analisi dei risultati conseguiti da ciascuno schieramento nel contrasto delle linee di rifornimento dell’avversario deve necessariamente far riferimento a tre periodi distinti, in relazione allo svolgersi degli avvenimenti. Fino all’8 settembre del 1943, per il calcolo delle perdite complessive subite, fino al maggio del 1943, per le comunicazioni italiane verso l’Africa Settentrionale, e fino al novembre del 1942, per quelle britanniche verso Malta.

Da un punto di vista quantitativo, fino all’8 settembre 1943, l’esito della guerra aeronavale in termini di perdite materiali accusate da entrambi gli schieramenti militari (affondamenti o danneggiamenti) sarebbe stato sostanzialmente pari Se il tonnellaggio perduto complessivamente dalla Royal Navy risulta largamente superiore a quello della Regia Marina, per la concorrenza di unità di maggior dislocamento, numericamente si è verificato il contrario. Tra l’altro, circa la metà del dislocamento perso in Mediterraneo dalla Royal Navy e, comunque, le navi maggiori affondate (Ark Royal, Barham e Eagle), erano state appannaggio delle forze aeronavali tedesche.

Dal punto di vista degli obiettivi conseguiti dagli italiani nella guerra aeronavale nel Mediterraneo l’analisi deve essere circoscritta agli avvenimenti legati alla difesa del traffico con l’Africa Settentrionale giacché la flotta da guerra italiana era stata impiegata quasi esclusivamente a questo scopo. Se per quanto riguarda la Regia Marina era mancato infatti l’uso strategico della flotta, non tanto come ricerca della battaglia, piuttosto come blocco delle comunicazioni avversarie e pressione sul fronte terrestre, per la Royal Navy non vi era stata questa limitazione. Le incursioni navali della Mediterranean fleet contro le basi costiere cirenaiche e perfino tripolitane, condotte anche con le unità maggiori, erano state numerose ed erano iniziate già nei primissimi giorni della guerra nel Mediterraneo, prendendo di mira non soli i porti e le installazioni costiere litoranee, ma anche le più importanti città costiere, fino a Tripoli.

Alle tre battaglie dei convogli, combattute per sostenere le linee di rifornimento italiane per l’Africa Settentrionale, si erano contrapposte operazioni britanniche meno frequenti ma non meno indispensabili, in alcuni casi effettuate contestualmente. Queste erano state sia i “Malta Convoys”, ossia i convogli britannici per il rifornimento della piazzaforte mediterranea, sia le venticinque missioni di aviolancio effettuate dalle portaerei britanniche per l’Egitto e per Malta (operazioni apparentemente secondarie in realtà fondamentali per la difesa dell’isola), sia gli sporadici convogli di rifornimento destinati all’VIII Armata britannica in Africa Settentrionale.

I convogli effettuati nei due sensi dagli italiani erano stati 993 per la Libia (fino a gennaio 1943) e 276 per la Tunisia (novembre 1942 - maggio 1943): numero di gran lunga superiore a quello dei convogli britannici. Mediamente ogni convoglio italiano era stato composto da due navi, rivelando un sistema di miniconvogliamento a cui si aggiungeva il sottocarico delle navi trasporto (mediamente fino al 50% della portata reale). Questo quasi costante sistema di traffico risultava solo parzialmente giustificabile dalle urgenze, dai modesti quantitativi di rifornimenti disponibili, dalla suddivisione del rischio su più bersagli e dalla scarsa ricettività dei porti di destinazione. Comunque, era in contraddizione con quanto previsto prima della guerra, quando si riteneva che i trasporti con la Libia in caso di guerra avrebbero richiesto grandi convogli a lunghi intervalli tra loro e scortati dal grosso delle forze navali.

I britannici erano ricorsi alla via mediterranea solo in condizioni di emergenza per rifornire soprattutto l’isola di Malta, disponendo in alternativa della via del Capo, più lunga ma più sicura, per rifornire l’Africa Settentrionale o della rotta aerea dall’approdo di Takoradi (in Costa d’Oro oggi Ghana). La prima non permetteva, però, di raggiungere con sicurezza Malta, per la facilità di intercettazione dei convogli da Oriente, da parte della squadra navale italiana dislocata a Taranto. La seconda sarebbe diventata pienamente operativa solamente nel 1941, risultando sempre più importante. Al momento dell’offensiva di Rommel nel 1942, l’Egitto sarebbe stato salvato anche grazie a questa rotta.

Figura 2: la rotta aerea di Takoradi

Fino ai primi di dicembre del 1942 il rifornimento di Malta, a parte lo sporadico ricorso ad isolate navi da guerra (posamine veloci classe Abdiel), sommergibili (51 missioni) o singoli mercantili isolati o comunque scortati, era stato realizzato dai britannici attraverso sedici convogli, spesso nell’ambito di complesse operazioni su più direttrici di rifornimento. Dall’11 dicembre 1942 altri convogli avrebbero raggiunto l’isola ma non si sarebbe trattato più di operazioni concepite e condotte esclusivamente per il rifornimento della piazzaforte: essi erano diretti a Bengasi o a Tripoli, oramai in mano britannica, e solo alcune delle navi erano destinate a Malta. Un numero quasi analogo di convogli di navi scariche aveva percorso il Mediterraneo in direzione inversa.

All’esiguità dei convogli britannici transitati attraverso il Mediterraneo in circa 27 mesi (dal settembre 1940 al dicembre 1942) fa riscontro l’elevato numero di questi giunti a destinazione senza perdite e talvolta senza contrasto. Solamente a fine settembre del 1941, durante l’Operazione Harberd, cioè in occasione del decimo “Malta Convoys”, i britannici avevano perduto la prima unità da carico sulle rotte per Malta. Successivamente, solo durante le operazioni del 1942 di metà giugno (operazione “Harpoon”) e di metà agosto (operazione “Pedestal”) avrebbero subito rilevanti perdite di unità da carico, rispettivamente 4 su 6 mercantili e 9 su 14.

Dalla figura 3 si evince l’oneroso andamento delle perdite di materiali subite dai convogli italiani per la Libia nel corso delle due battaglie dei convogli. Non altrettanto alte erano risultate, invece, le perdite nei convogli britannici. Se da un lato è plausibile considerare perdite commisurate alla alta densità di traffico italiano, dall’altra invece risulta incomprensibile che rari convogli britannici non abbiano risentito della potenziale concentrazione offensiva nemica.

Figura 3: Tonnellate di materiali, compresi i combustibili liquidi, partiti e non giunti in Libia.

Le percentuali si riferiscono ai materiali non giunti rispetto a quelli partiti.

Tabella 10: trasporti via mare dall’Italia in Africa Settentrionale.

Elaborazione dei dati dell’USMM (Dati Statistici).

Il fatto che la flotta fosse vincolata dalla difesa al traffico tra la madrepatria e i fronti d’oltremare, compito che si voleva assolto grazie alla semplice permanenza nei porti della squadra da battaglia, secondo la teoria della “fleet in being”, ha portato al paradosso della Regia Marina vincitrice nella sua unica battaglia. Il successo complessivo riportato nella battaglia dei convogli (l’85,9% di materiali e il 91,6% di uomini per la Libia e il 71% di materiali e il 93% di uomini per la Tunisia giunti rispetto ai partiti) ha, infatti, alimentato tale impropria interpretazione dei fatti rivolta essenzialmente alla rivalutazione della Forza Armata attraverso la svalutazione di quella flotta da battaglia sulla quale si addensavano le maggiori delusioni e polemiche da Lissa all’armistizio del 1943. Tale interpretazione costituirebbe pertanto solo “una vittoria statistica”. Vi erano stati, infatti, alcuni periodi cruciali nei quali i rifornimenti erano stati gravemente decurtati dall’offesa nemica, proprio in coincidenza con cicli operativi importanti sul fronte terrestre africano e, spesso, con l’efficace intervento delle forze aeronavali di Malta. Tali periodi si erano avuti in occasione dell’inizio delle offensive britanniche della fine del 1940 (quasi l’11% di carichi complessivi persi nel dicembre) della fine del 1941 (più del 62% di carichi complessivi persi nel mese di novembre, tra cui oltre il 90% dei combustibili) e della fine del 1942 (più del 44% dei carichi complessivi persi nell’ottobre, tra cui oltre il 52% di combustibili).

Figura 4: Le offensive in Africa Settentrionale

La valutazione dei risultati inoltre non può essere limitata alla sola attraversata via mare dei rifornimenti ma deve estendersi su tutto l’arco di responsabilità. Le statistiche, infatti, sono riferite al naviglio mercantile giunto nei porti di arrivo e non tengono conto delle perdite per offesa area dei materiali in attesa di essere scaricati nei porti o giacenti sulle banchine. Nelle operazioni di scarico, lunghe e complesse per la limitata capacità dei porti di arrivo, la Marina aveva la sua parte di responsabilità nell’organizzazione e nella difesa antiarea dei porti e nelle operazioni di carico e di scarico delle navi, con propri organismi.

Paradossalmente se fosse vera la tesi della vittoria si dovrebbe concludere che a perdere la guerra sarebbero state esclusivamente le altre due Forze Armate e che la guerra marittima non avrebbe avuto alcuna influenza sull’andamento del conflitto nel Mediterraneo, dato che poi, nel 1943, gli Alleati erano riusciti a sbarcare in Sicilia e a costringere l’Italia alla resa. Viceversa, il merito della presunta vittoria andrebbe condiviso sia con tutte le Forze Armate nazionali e tedesche, coinvolte nell’organizzazione e nella difesa dei traffici marittimi, sia con la Marina Mercantile. Relativamente a quest’ultima era andato perduto in Mediterraneo, dal 10 giugno del 1940 all’8 settembre del 1943, un patrimonio immenso, in quantità e qualità: 567 unità (460 con bandiera italiana) con una stazza unitaria superiore alle 500 t.s.l. a fronte di una consistenza iniziale di 786 unità nazionali (di cui 212 perse il primo giorno perché sorprese in porti non nazionali) e 56 tedesche. Le integrazioni ottenute durante il conflitto erano state pari a 210 unità con bandiera italiana e 124 tedesca. Proprio la consistenza delle perdite scredita ulteriormente la tesi della vittoria.

Tabella 11: mercantili dell’Asse in Mediterraneo

Elaborazione dei dati dell’USMM (Dati Statistici).

Sono passati circa sessant’anni dagli eventi, tutti i principali protagonisti sono ormai scomparsi, eppure gli storici e comunque gli appassionati della storia patria sono ancora divisi nel giudicare il comportamento delle forze aero-navali italiane, soprattutto in particolari momenti della guerra.

Il confronto dialettico tra l’interpretazione “istituzionale” della vittoria nella battaglia dei convogli, enunciata dal Cocchia, medaglia d’oro protagonista degli avvenimenti e poi Capo dell’USMM, e ripresa da altri storici, e quella “revisionista” di questi ultimi anni, si è esteso poi a tutti gli altri aspetti della guerra aeronavale, ritenuta dai più comunque insoddisfacente sotto il profilo militare. L’iniziale isolamento della Gran Bretagna, la posizione centrale della penisola italiana nel Mediterraneo, la ristrettezza del Canale di Sicilia, ed i non trascurabili mezzi aeronavali a disposizione dell’Italia, tutti concentrati nel teatro bellico a differenza dell’avversario, sono riportati come esempi di vantaggi non sfruttati opportunamente. L’impreparazione, la mancanza del radar e di portaerei, la teoria della “fleet in being”, la decrittazione dei messaggi segreti, la penuria di combustibili, ecc., sono invece invocati a giustificazione dei risultati. Molti interrogativi ancora aperti sul piano storico. Molte tessere da comporre per cercare di fare maggiore chiarezza nel mosaico della guerra italiana che ancora oggi suscita atteggiamenti contraddittori tra celebrazione del valore e del sacrificio dei soldati e compiacimento per la loro sconfitta, quest’ultima come condizione per la caduta del fascismo.