L'Affondamento...

10 gennaio 1943

dal Rapporto di navigazione.
Firmato Com. G. Gregorio (pag. 1)

dal Rapporto di navigazione.
Firmato Com. G. Gregorio (pag. 2)

dal Rapporto di navigazione.
Firmato Com. G. Gregorio (pag. 3)

dal Rapporto di navigazione.
Firmato Com. G. Gregorio (pag. 4)

Alle 7.30 del 9 gennaio 1943 la Calino (comandante civile capitano Salvatore Donato, comandante militare tenente di vascello Reginaldo Scarpa) lasciò Biserta scarica per rientrare in Italia dopo il suo terzo viaggio in Tunisia. Sarebbe stato l’ultimo. La Calino navigava in convoglio insieme ad un’altra motonave, la tedesca Ankara (i due mercantili procedevano in linea di fronte), con la scorta dei cacciatorpediniere Granatiere (caposcorta), Antonio Pigafetta e Vincenzo Gioberti (questi ultimi due sino all’imbocco del Golfo di Napoli). Sia il comandante civile Donato che il comandante militare Scarpa erano sempre in plancia, pronti ad affrontare qualsiasi eventualità; il tenente di vascello Scarpa riceveva dal capo convoglio le disposizioni sulle rotte da seguire, che poi comunicava al capitano Donato.

Alle 4.59 del 10 gennaio il terzo ufficiale della Calino verificò la posizione dell’unità (mediante rilevamenti di Punta Carena e Capo Imperatore), trovandola fuori rotta di due miglia a sinistra rispetto alla rotta prevista, con rotta 39°. Donato riferì a Scarpa dell’imprevisto, e per qualche minuto la Calino proseguì sulla sua rotta, poi il Granatiere ordinò alla motonave, mediante il radiosegnalatore, di mettersi in linea di fila, dietro l’Ankara. La Calino ridusse la velocità e si pose nella scia della nave tedesca, poi, via radio, ricevette ordine di seguire rotta 30°, poi 25°, restando con quest’ultima rotta per una ventina di minuti.

Alle 5.10 il radiotelegrafista disse per telefono al tenente di vascello Scarpa che il Granatiere aveva comunicato di essere su rotta 88°, e poco dopo anche l’Ankara ricevette ordine di assumere tale rotta. Il capitano Donato controllò sulla carta nautica le rotte di sicurezza e fece notare al tenente di vascello Scarpa che, seguendo l’Ankara con rotta 25°, la Calino sarebbe stata fuori rotta, e Scarpa replicò che forse bisognava fare rotta diretta su Napoli attraversando il Golfo; in ogni caso, disse a Donato di regolare la navigazione in modo da restare nella scia dell’Ankara.

Alle 5.25 la nave tedesca iniziò un’accostata a dritta, e, per restare nella sua scia, anche la Calino iniziò progressivamente ad accostare. La motonave italiana aveva accostato sino a 70°, quando venne scossa da una violenta esplosione sotto la plancia, che mandò in frantumi tutti i vetri della timoniera e fece repentinamente sbandare a sinistra la Calino.

Erano le 5.30 del 10 gennaio 1943, il convoglio era al largo di Punta Campanella (Napoli). La nave aveva urtato una mina di uno sbarramento difensivo italiano. Il capitano Donato fece fermare subito le macchine, mentre i rottami proiettati in aria dal ponte di coperta continuavano a cadere dal cielo; quando questa “pioggia” fu cessata, Donato si accorse di essere rimasto solo. Uscito sull’aletta di dritta, il comandante vide che tutto l’equipaggio stava già ammainando le scialuppe. Raggiunto dal direttore di macchina, il capitano Donato verificò che a bordo non fosse rimasto nessuno, poi raggiunse la lancia di servizio (situata sul cassero dei verricelli tra le stive n. 3 e n. 4) ed insieme a lui la calò in mare. A causa del tempo, la lancia del comandante dovette subito scostarsi dalla nave in affondamento, per poi mettersi alla cappa con due remi.

La Calino in affondamento il 10 gennaio 1943 (da Rolando Notarangelo, Gian Paolo Pagano, “Navi mercantili perdute”, USMM, Roma 1997)

Alle 9.55 sopraggiunse un motoscafo della Regia Marina; il capitano Donato chiese di essere portato verso la Calino che ancora galleggiava, ma il motoscafo rimorchiò invece la lancia sino a Capri, da dove poi, verso le 15, un MAS portò Donato ed il resto dell’equipaggio a Napoli. Qui i superstiti sbarcarono al molo Radice, dove i feriti furono caricati su un’ambulanza, che li portò in ospedale, mentre gli altri naufraghi (una trentina) furono sistemati su un autocarro che li trasportò al Distaccamento della Marina, ad eccezione di Donato e Scarpa, che salirono su un’autovettura militare che li portò al Comando in Capo, dove trovarono i comandanti del Granatiere e del I già intenti a spiegare l’accaduto. Solo allora i comandanti militare e civile della Calino vennero a sapere che la loro nave era affondata alle 11.28, circa tre miglia a nordest di Capri.

A niente erano valsi gli sforzi del Gioberti, che oltre a recuperare parte dei naufraghi aveva preso a rimorchio la motonave danneggiata per portarla in porto: la Calino si era capovolta per poi inabissarsi nel punto 42°32’ N e 14°10’ E.

Il tenente di vascello Scarpa, uscito dall’interrogatorio tenutosi la sera del 10 gennaio con l’impressione che il caposcorta gli avesse imputato colpe che non aveva, fece notare, nella sua deposizione, che nelle istruzioni ricevute non era stata fatta parola circa l’esistenza del campo minato, e che il caposcorta, o chi avrebbe dovuto sapere della presenza delle mine e notare che la Calino vi stava andando incontro, non aveva inviato i segnali d’emergenza verdi, né ordinato di accostare subito a dritta con lampi di luce.